Tra fine settembre 1943 ed estate 1944, si dipana la storia di questo gruppo, che pone la sua prima base alla Tarva, oggi uguale ad allora, una grangia disabitata, sotto la guida 'formale' di Mario Rivoir e la guida 'effettiva' di Telesforo Ronfetto, nome di battaglia 'Pot', abbreviativo da 'Tepot' ('Piccola teppa' o 'delinquentello'), quasi un programma per un comandante agguerrito, dotato di buon senso, attivo e convinto 'militarista'.
Gli uomini del gruppo, appartenenti alle leve dal '21 al '25, erano originariamente 15 ex alpini, fra i quali spiccava il Pastore Davite, conosciuto come 'Dutur Gechiss', una divertente e divertita piemonte-sizzazione del Dottor Jackyll ( film del 1942), perché addestrato dal Professor Pinardi all'Ospedale Valdese di Torre per poter fare interventi sanitari di primo soccorso.
La vita del gruppo nelle basi della Tarva e della Sea era prevalentemente costituita, come ricordano sia Davite, sia Franco Pasquet (il Minor, di cui riportiamo molte poesie dialettali in un CD-ROM del nostro lavoro) dalla 'grande barba', cioè dai turni di guardia, pure così importanti per la sicurezza del gruppo, cui si univano lavori di pulizia e manutenzione, preparazione dei cibi, più o meno convincenti a seconda dei cuochi, esercitazioni alle armi, soprattutto per le 'reclute'.
A tutti erano riservate anche 'lezioni di politica' da parte dei più acculturati, dopo le quali erano accolti come liberatori sia canti, sia barzellette.
Non mancavano addestramenti 'curiosi', frutto della mente un poco 'dispettosa' di Pot, che per mantenere all'erta i suoi uomini nel bel mezzo della notte, una volta li aveva svegliati con l'allarme, fatti armare di tutto punto e trasferire tra Torre e San Giovanni per un'azione… raccogliere cavoli in un campo, come ricorda sorridendo Pasquet. Solo per 'tenerli in esercizio' li aveva fatti saltare giù di notte per raccogliere cavoli!

E' un avvenimento che è stato ricostruito per noi dal Pastore Davite, uno degli uomini , con il ruolo di 'fuciliere', del Gruppo della Sea che, assieme al Gruppo del Ventuno e di 'Tino' Martina, avrebbe dovuto bloccare eventuali rinforzi nazifascisti da Pinerolo in aiuto dei 'moru', chiusi nella caserma di Bobbio che veniva attaccata, per la seconda volta, con l'artiglieria 'a-sciancun', un sistema 'alla Davide dell'Antico Testamento'.
Salacemente Davite ricorda: "Questa volta i fili del telefono erano stati tagliati tutti, ma nel frattempo i fascisti avevano fatto 'progressi tecnologici' ed avevano la radio… e quella non si era potuto fermarla!".
Il 3 febbraio 1944 alle ore 8 la colonna nemica parte da Pinerolo dotata di armi 'in quantità industriale'.
Fermati dal gruppo di Martina a Bibiana, i nemici arrivano alle 10 a Rio Cros, vicino alla vecchia seggiovia per la Sea, dopo l'Ospedale Valdese.
"La vecchia provinciale, la Via Grossa, passava da Santa Margherita e faceva una curva dove ci sono le case a sinistra della strada salendo verso Villar Pellice e, a Rio Cros, faceva una doppia curva, nella zona detta 'La Vittoria', una piola aperta nel 1918 al termine della Grande Guerra".
Sicuramente Rio Cros rispetta il suo nome, perché è proprio un rio profondo, scavato.
Il posto per l'agguato è stato scelto in modo intelligente, ma l'armamento e gli effettivi partigiani decisamente pochi per fronteggiare circa 150 nemici: mitragliatore, l'unico funzionante, a Geymot, il tiratore migliore, mitragliatrice pesante a 'Pot' (Telesforo Ronfetto), moschetti a canna corta con portata limitata e imprecisione notevole agli altri e un'altra mitragliatrice più sopra.
Gli effettivi, solo 15, hanno tenuto in scacco la colonna fino alle 17.30 del pomeriggio, perché i fascisti erano convinti di essere circondati da centinaia di partigiani di cui temevano l'imboscata notturna.
Preferirono perciò ritirarsi per la notte a Torre Pellice.
Dall'agguato il gruppo del Ventuno trasse un importante bottino: un mortaio da 81 con cui riuscì a prendere la caserma e a fare arrendere i 'moru'.
La reazione nemica produsse incendi di case nell'Inverso e cattura di ostaggi.
Bisognava attuare uno scambio: nella piana del Teynaud furono scambiati i rispettivi ostaggi e furono restituite le armi, ovviamente dopo opportuno lavoro di sabotaggio delle stesse: "…Si toglie una molla… si dà una botta con il martello sull'otturatore del fucile… e avanti così".
Il nemico non avrebbe certo più potuto usare quelle armi contro i ribelli!