Intervista a ‘Meo’ Demaria e Renzo Sereno - 29 Gennaio 1999

Sereno: Mi chiamo Sereno Renzo, sono nato a Tavigliano in provincia di Biella il 28 Maggio 1926.
Attualmente risiedo a Luserna San Giovanni, dove la mia famiglia era venuta ad abitare nel 1939.
Nel 1940, terminata la scuola di avviamento professionale, ho iniziato a lavorare come apprendista presso la manifattura Mazzonis di Pralafera.
A quel tempo mandare i figli a scuola dopo le elementari era un lusso e soltanto poche famiglie, diciamo 4-5%, avevano la disponibilità finanziaria per farlo. Al contrario, per molte famiglie era necessario mandare i figli a lavorare per avere un’altra entrata finanziaria, molte volte indispensabile per procurare il cibo alla famiglia.
Anche allora era difficile trovare lavoro e diversi ragazzi dovevano adattarsi ad andare a fare il guardiano di mucche nelle cascine della pianura con una paga che era il cibo quotidiano.
Io ero stato fortunato a trovare lavoro in una fabbrica.
A fine Maggio 1944, la Repubblica fascista aveva emesso un bando di chiamata che riguardava i giovani nati nei primi sei mesi del 1926.
Essi dovevano presentarsi entro il 6 Giugno presso i Distretti militari di appartenenza per essere mandati in Germania a lavorare nelle industrie tedesche.
In quel momento ho dovuto scegliere se andare a lavorare per i tedeschi ed i fascisti o andare nelle formazioni partigiane che si erano formate sulle montagne della Valle dopo l’8 Settembre.
Sulla scelta non ho avuto dubbi e, come la stragrande maggioranza dei giovani della Valle, ho scelto di andare con i partigiani.
La mia scelta era stata determinata, in particolare, dalla visione dei drammatici avvenimenti che erano successi in Valle e nei territori vicini dopo l’8 Settembre.
Il disumano comportamento dei tedeschi e dei fascisti aveva scosso la mia coscienza e mi aveva portato a schierarmi contro.
I partigiani combattevano per la libertà e la giustizia e per costruire un mondo migliore; ho voluto fare la mia parte.
Così al mattino del 4 Giugno, io e il mio coetaneo Giachero Piero, salutati i genitori, siamo partiti per Bobbio Pellice dove sapevamo di trovare la persona che ci avrebbe indicato dove andare.
Avevamo indossato abiti adatti per la vita in montagna e messo nello zaino una coperta di lana, un ricambio di biancheria intima, il mangiare per un giorno ed una gavetta militare con cucchiaio e forchetta.
Per evitare l’abitato di Torre Pellice che era controllato dalla milizia fascista, siamo passati nei sentieri sopra il forte, sopra i Coppieri e siamo scesi sulla provinciale per Bobbio nei pressi dei Chabriols.
Arrivati a Bobbio, siamo entrati nella Trattoria dei cacciatori dove un signore, che in seguito abbiamo saputo che si chiamava Gayot, ci ha detto che dovevamo andare a Villanova, dove nella caserma della Guardia di Finanza, si era installato una specie di Distretto dei partigiani.
Siamo arrivati a Villanova nel primo pomeriggio e ci siamo presentati nella caserma.
Un partigiano ha registrato i nostri dati personali e il Comandante della squadra, che era Tino Martina, ci ha chiesto perché eravamo saliti con i partigiani, ci ha parlato dei rischi a cui andavamo incontro e ci ha detto che al mattino seguente dovevamo salire alla conca del Pra per un periodo di addestramento.
In seguito, il partigiano Blanc Luigi, che conoscevamo già, ci ha accompagnati a vedere la postazione di una mitragliatrice situata sul promontorio che domina la Valle.
Ho poi partecipato, come portatore di un sacco di esplosivo, all’azione di sabotaggio al ponte di Malbec per interrompere la strada Bobbio-Villanova impedendo così ad eventuali mezzi corazzati tedeschi di salire a Villanova.
E’ stata la mia prima azione da partigiano.
Passata la notte nella camerata della caserma su un giaciglio di paglia con gli altri partigiani, al mattino, io e il mio amico Piero, siamo saliti alla conca del Pra, diventata la palestra di addestramento per le reclute partigiane.
Giunti al Pra, ci siamo sistemati in una casupola costruita contro una roccia vicino all’inizio della mulattiera per il colle della Croce.
La casa serviva da ricovero dormitorio per una ventina di partigiani.
Ognuno aveva a disposizione poco più di un metro quadro di pavimento per il giaciglio e per mettere lo zaino.
Per noi reclute la giornata al Pra iniziava alle sette con una rapida pulizia personale nell’acqua del torrentello che scorreva lì vicino.
Ci si trovava poi davanti ad un fortino adibito a cucina, dove veniva distribuita una tazzina (coperchio della gavetta) di latte caldo e quindi ci radunavamo nel prato a gruppi di 8 o 10 per seguire la lezione sulle armi tenuta da istruttori che erano stati ufficiali o sottoufficiali nell’esercito italiano.
Gli istruttori ci insegnavano come portare le armi, come tenerle quando si doveva sparare, come smontare e rimontare i vari tipi di armi esistenti nella formazione, come lanciare una bomba a mano e come pulire e oliare i meccanismi delle armi.
Quando eravamo in grado di smontare e rimontare le armi con gli occhi bendati, per premio ci facevano sparare un colpo contro dei bersagli posti fra le rocce.
Un solo colpo perché le munizioni erano scarse.
Nel pomeriggio, dopo il rancio composto da una pagnotta, un mestolo di pastasciutta o minestra e, non tutti i giorni, un pezzo di carne bollita o un mestolo di spezzatino, il tutto appena condito, si andava a raccogliere legna per la cucina, oppure si scendeva a Villanova a fare rifornimento di viveri che venivano portati al Pra a spalla.
A sera, dopo la cena costituita ancora da minestra o pastasciutta e non sempre da un pezzo di formaggio, ci riunivamo nei dormitori e prima di dormire si cantava o si ascoltavano i racconti dei partigiani che avevano partecipato ad azioni di guerra.
Naturalmente al buio.
Intanto il numero dei partigiani acquartierati al Pra era salito a oltre 500 e diventava sempre più difficile provvedere alla loro sistemazione e al loro sostentamento.
Tutti gli edifici militari esistenti nella conca, il rifugio ed anche le baite dell’alpeggio erano occupate.
Nel mese di giugno eravamo stati organizzati in squadre di mitraglieri, fucilieri, mortaisti e riuniti in tre gruppi.
Il gruppo A, comandato da Abele Bertinat, il gruppo R, comandato da Renè Poët, il gruppo T, comandato da Tino Martina.
I tre gruppi, con la squadra di Nicola che si trovava in Val d’Angrogna, con quella di Demaria che operava nella zona di Bricherasio e con quella dell’Intendenza comandata da Dino Buffa che operava nella pianura antistante la Val Pellice, formavano la Colonna Giustizia Libertà ‘Val Pellice’ comandata da Antonio Prearo.
In totale oltre 800 partigiani. Nel mese di Giugno gli alleati fecero due lanci di materiali nella conca e grande fu la gioia dei partigiani.
Io e Piero eravamo stati assegnati ad una squadra di mitraglieri del gruppo R e avevamo avuto in consegna uno Sten e due bombe a mano ‘Balilla’.
Il nostro capo squadra si chiamava ‘Ganimede’ era alpino.
Aveva già fatto 3 anni di naja e combattuto in Grecia e Jugoslavia.
La sera del 29 Giugno ricevemmo l’ordine di preparare lo zaino e le armi perché dovevamo trasferirsi a valle.
Noi del Gruppo R siamo destinati alla Gardetta, un alpeggio sulle pendici del monte Vandalino a destra di Villar Pellice, il Gruppo T deve sistemarsi nell’alpeggio di Codissart ubicata nell’Inverso di Villar, ed il Gruppo A acquartierarsi nella località Payant vicino a Bobbio.
Al Pra rimane la squadra di Bruno Cesan per addestrare i nuovi arrivati e ricevere eventuali lanci degli Alleati.
Nel trasferimento, io avevo da portare il trepiedi della mitragliatrice che, per trasportarlo, si sistemava su un apposito basto dotato di robuste bretelle, lo zaino e lo Sten.
Quando siamo arrivati alla Gardetta, dopo cinque ore di cammino, ero esausto.
Dalle nuove posizioni si dominava la Valle e si vedevano in lontananza le case di Torre Pellice e di Luserna.
Dopo Santa margherita, passato il posto di blocco della Milizia Fascista, la Valle era controllata dai partigiani fino al confine con la Francia.
Alla Gardetta la mia squadra si era sistemata in una baita che aveva un locale a piano terra e sopra un altro locale con il pavimento di assi accessibile salendo una scala di legno esterna.
Il locale sopra era diventato il nostro dormitorio, quello sotto il magazzino del Gruppo e vicino al magazzino sotto una tettoia era stata sistemata la cucina da campo.
Nel magazzino dormiva il nostro cuoco, un carabiniere sulla quarantina, di nome Gattinoni.
Nel gruppo di baite della Gardetta eravamo acquartierati circa 150 partigiani.
Io e Piero siamo rimasti nel Gruppo R fino al 24 Luglio, poi siamo passati al Gruppo T per essere con dei nostri coetanei di Luserna.
In quel Gruppo, che aveva la base a Codissart, veniamo assegnati alla squadra fucilieri comandata da ‘Bill’, un meridionale che all’8 Settembre era militare nella Guardia alla Frontiera.
Nel mese di Luglio, le SS italiane che erano acquartierate a Bricherasio, a Bibiana, a Luserna San Giovanni ed a Torre Pellice, avevano posto dei posti di blocco sulle strade di accesso alla Valle e bloccato i rifornimenti di viveri per la popolazione delle zone controllate dai partigiani.
Era così venuta a mancare la farina per il pane e anche la carne.
Il comando partigiano per far fronte al fabbisogno aveva mandato in pianura la squadra di Luigi Demaria (‘Meo’) con il compito di aiutare l’Intendenza partigiana a procurare un maggiore quantitativo di grano e di farina.
I prodotti requisiti negli ammassi e nelle cascine venivano portati, con automezzi presi ai tedeschi, a Montoso ed a Prarostino e poi a Villar Pellice, a Bobbio, ad Angrogna.
In quel mese le SS italiane del presidio di Luserna San Giovanni avevano arrestato e portato a Torino nelle carceri Nuove i genitori dei giovani che, ignorando i bandi di chiamata, non si erano presentati ai distretti di reclutamento della Repubblica di Salò.
Dopo una prigionia di 12 giorni, erano stati rilasciati.
Nel pomeriggio del 3 Agosto, il comandante Martina comunica che le squadre di fucilieri devono partire per una missione segreta.
Devono portarsi appresso tutte le armi e le munizioni in dotazione e la razione di viveri d’emergenza.
Siamo un centinaio che, verso le 16, saliamo a Pian Pra per scendere a Pontevecchio, dove troviamo una cinquantina di garibaldini della 105^ Brigata ed una squadra mortaisti del Gruppo A che ci aspettano.
Sappiamo dal comandante garibaldino ‘Milan’ che assieme dobbiamo andare ad attaccare la guarnigione di SS italiane che presidia Bibiana.
Ad ogni squadra viene aggregata una guida che deve accompagnarla nella posizione disposta dal piano d’attacco.
Noi della squadra di ‘Bill’ andiamo a posizionarci sulla strada che arriva da Cavour.
Alle 21 circa, un razzo segnala l’inizio dell’attacco ed il mortaio apre il fuoco contro l’edificio occupato dalle SS, ma privo del congegno di puntamento, manca il bersaglio e la nostra azione viene fermata dal nutrito fuoco delle mitragliatrici delle SS.
La battaglia continua fino verso alle 23 quando, provenienti da Pinerolo, arrivano in aiuto alle SS assediate, alcune autoblindo tedesche ed il fuoco delle loro mitragliere ci obbliga a ritirarci.
Le squadre che erano posizionate a nord della caserma si ritirano verso la Val Pellice, noi invece, della squadra di ‘Bill’, in totale 15 uomini, abbiamo dovuto ritirarci verso Campiglione e, evitando l’abitato, con un ampio giro al mattino del 4 Agosto siamo arrivati alla base partigiana di Rocca Picca sopra Prarostino, dove abbiamo saputo che le truppe tedesche e fasciste, rafforzate da reparti giunti da Pinerolo e da Torino, avevano iniziato un grosso rastrellamento nella Val Pellice.
Noi della squadra di ‘Bill’ volevamo rientrare in Valle e, siccome pensavamo che i partigiani resistessero sulle posizioni predisposte a Villar Pellice ed a Bobbio, abbiamo deciso di salire alla Vaccera e, passando sul Gran Truc, arrivare ai Tredici Laghi per salire il Colle Giulian e scendere poi a Villanova.
Siamo partiti a tarda sera del 4 e siamo giunti vicino al Colle Giulian che erano circa le 15 del 5.Pioveva e c’era una fitta nebbia che ci ha salvati, perché sul Colle c’erano già i tedeschi che erano saliti da Pradeltorno.
Li abbiamo sentiti parlare e siamo tornati indietro velocemente.
Abbiamo percorso in senso contrario i sentieri che avevamo fatto per salire e verso le 9 del 6 eravamo di nuovo a Rocca Picca, dove ci siamo fermati in attesa che la situazione si fosse chiarita.
Il rastrellamento in Valle è proseguito fino al 9 Agosto e dalle Bariole, dove avevamo disposto un posto di guardia, si vedevano passare sulla provinciale Torre Pellice-Pinerolo i frutti delle rapine tedesche: migliaia di capi di bestiame, in maggioranza pecore, venivano portati via.
Quando si sono ritirati, abbiamo nuovamente cercato il collegamento. Io sono andato dove si erano concentrati i resti della squadra Martina, su al rifugio Valanza, in Val Luserna.
Gli altri partigiani della squadra, si sono fermati a Rorà con i garibaldini.
Qui ci siamo ritrovati ed abbiamo ricominciato la lotta.
A Valanza siamo stati circa un mese, poi siamo scesi al Triboletto, che è sopra la Maddalena, nella collina di Luserna e poi, al 28 Ottobre, la squadra è scesa in pianura.
Siamo andati a Val della Torre, vicino a Rivoli ed abbiamo iniziato un nuovo modo di fare il partigiano: interrompere le linee di comunicazione, rendere inservibili i mezzi di locomozione, fermare con sabotaggi la produzione negli stabilimenti che potevano fornire materiale bellico alla ‘macchina tedesca’.
Abbiamo interrotto tre volte la linea ferroviaria Torino-Valle Susa; abbiamo fatto saltare i trasformatori alla Snia Viscosa, alla periferia di Torino, in Barriera Milano; abbiamo reso inservibile la cabina di trasformazione elettrica alla Philips di Alpignano.
Siamo rimasti nella zona di Val della Torre fino al 6 gennaio 1945.
Un rastrellamento ci ha obbligati a rifugiarci nella tenuta della Mandria, vicino a Torino.
Siamo rimasti lì un paio di giorni, fino alla fine del rastrellamento.
Poi ci siamo spostati nell’Astigiano, nella zona di Castelnuovo Don Bosco.
Nell’Astigiano erano affluiti molti partigiani della Val Pellice e avevano formato altre formazioni.
Il tenore di vita nell’Astigiano era migliore: dormivamo in un letto, il mangiare era discreto, quindi la vita era migliore di quella in montagna.
Sovente andavamo nelle vicinanze di Chivasso e di Villanova d’Asti per interrompere la ferrovia Torino-Genova-Torino-Milano; diverse volte abbiamo fatto saltare decine di metri di binario; altre volte si minava il binario facendo scoppiare la carica quando la motrice passava sopra.

Demaria: Sono stato più fortunato prima, perché, a spese dello stato, ho girato tutta l’Italia fino all’Africa.
Sono del 1918, più anziano di lui: quando è finita la grande guerra io nascevo.
Nel 1939 sono stato chiamato alle armi. Ero stato destinato al distretto di Pinerolo ma, essendo idoneo al servizio militare, mi hanno poi mandato in guerra.
Lì sono rimasti i ‘sedentari’.
Nel 1940, quando si è dichiarata la guerra, eravamo combattenti ed abbiamo dovuto andare sul fronte a Bardonecchia.
I nostri alpini che erano di stanza qui e a Pinerolo, hanno dovuto scendere nel Queyras a combattere contro amici e conoscenti, perché i collegamenti tra queste due valli erano sempre stati molto buoni e alcuni facevano anche contrabbando…
Hanno dovuto perciò combattere contro gli amici francesi.
Degli alpini sono caduti a La Montà. Dal Piemonte, da Bardonecchia, anzi Salice d’Ulzio, siamo stati mandati a Caserta, sotto Napoli, come truppe antisbarco, per paura che gli alleati sbarcassero lì, dove c’era una grande pianura.
Ci portavano in treno fino a Livorno, dove ci sono le coste alte sul mare; ci imbarcavano di notte su imbarcazioni leggere e ci facevano poi sbarcare sulla costa per allenarci ad assaltare; ci addestravano per la conquista dell’isola di Malta, roccaforte inglese.
Non si è fatto niente, perché nel novembre del ’42, ci hanno portati in Africa, in Tunisia.
Siamo sbarcati tranquillamente, i Francesi che presidiavano la Tunisia si erano già ritirati verso l’Algeria, in attesa delle forze Alleate che erano sbarcate in Marocco, con le quali entrammo in combattimento sul confine Tunisia-Algeria.
Ho avuto la sfortuna, che poi si è trasformata in fortuna, di ammalarmi: sono stato così rimpatriato.
Mentre molti dei miei compagni sono stati fatti prigionieri tra il ’42-’43 in Africa, dove gli Anglo-Americani avevano conquistato la Libia, l’Egitto… ed occupato tutti i territori dell’Africa settentrionale.
Il mio rientro in Italia è stato un po’ avventuroso, perché non c’era più la nave ospedale.
Per portare i feriti ed i malati c’erano navi ospedale della Croce Rossa Internazionale… per venire in Italia ho usato l’aereo da Tunisi.
Sono arrivato in Sicilia e da lì, in treno-ospedale, a Foggia, dove ho avuto una licenza per trenta giorni.
Sono andato a casa e poi sono ritornato al Deposito 92 Fanteria di Torino, al quale appartenevo; sono stato mandato alla visita militare e mi hanno dato altri tre mesi di licenza e dichiarato meno atto alle fatiche di guerra.
A Gassino Torinese, c’era un campo di concentramento di prigionieri inglesi e io fui lì mandato a fare la guardia…
Stavano facendo un tunnel sotto Superga per le attrezzature della Riv… gli inglesi lavoravano lì…
L’otto settembre c’è stato l’armistizio: loro avevano paura, ma anche noi, perché rimasti senza ordini.
Il nove settembre sono ancora andato a Torino, al campo di Borgo San Paolo, per provvedere ai viveri: sulla provinciale vedevamo dei camion tedeschi.
Ci chiedevamo perché fossero ancora in Italia e non capivamo che stavano occupando il territorio.
Quando siamo ritornati sapevamo già dello sbandamento dei militari e telefonando al Comando di Torino… il piantone ci informava che non c’era più nessuno dei comandanti.
Cosa abbiamo fatto? Abbiamo aperto il campo: sono scappati loro, siamo scappati anche noi.
Avevo avuto dei vestiti borghesi da gente di Gassino, sono salito sul tram e sono andato a Torino.
A Porta Nuova c’erano già i tedeschi che occupavano: alcuni avevano fatto prigionieri gli ufficiali del Nizza Cavalleria e li portavano via.
Sono salito sul treno indisturbato e sono arrivato a casa ad Airali, sarà stato il 10-12; c’era già stato lo sbandamento delle caserme locali ed erano stati portati via armi e materiali. Siccome prima lavoravo alla Riv, ho potuto rientrare a lavorarvi.
Nell’aprile-maggio ’44, mi hanno richiamato alle armi, nell’esercito repubblicano.
Ho fatto la mia scelta: invece di andare là, sono andato di qua con loro, i partigiani.
C’era stato un rastrellamento nel mese di marzo del ’44 e c’era stato un po’ di sbandamento nelle formazioni partigiane.
Alcuni erano tornati nelle loro case, specialmente quelli della pianura; altri della montagna avevano potuto nascondersi.
Sono nato a Bricherasio e, quando mi hanno chiamato alle armi, siccome c’erano dei partigiani che erano scesi a causa del rastrellamento e non sapevano cosa fare, con loro mi sono trovato il 10 aprile 1944 al Pilone dei Battitori, tra Bricherasio e Bibiana, e abbiamo formato una squadra, che sarebbe stata chiamata la squadra di Bricherasio.
Dovevamo però prendere contatto con qualcuno per essere riconosciuti ufficialmente.
Ho avuto dei contatti con i Garibaldini e mi sono incontrato con Barbato, che mi ha fatto dichiarazioni di riconoscimento.
Abbiamo poi avuto dei contatti con la Val Pellice, dove siamo venuti perché la maggior parte, prima sbandati e poi riuniti, aveva già operato in Valle.
Siamo risaliti in Valle, non potevamo rimanere a Bricherasio, dove c’era un presidio tedesco e ancora i Carabinieri.
I Carabinieri non si sono sbandati e sono rimasti al loro posto nelle loro caserme, inquadrati nella Guardia Nazionale Repubblicana.
Nelle scuole c’era il presidio tedesco, anzi di SS italiane, italiani che avevano aderito alla chiamata della Repubblica di Salò ed erano stati addestrati dai fascisti e dai Tedeschi.
All’atto della formazione della squadra avevamo trovato un posto a Pian Morero, sulla collina tra Bricherasio, Angrogna e i piani, dove ci siamo accantonati per circa un mese; ci è poi giunto l’ordine di salire in Valle. Da San Michele siamo scesi verso il Ponte di Bibiana, abbiamo attraversato il Pellice, fatto l’Inverso, Lusernetta, Rorà e poi siamo scesi a Villar Pellice, perché la Valle era presidiata.
Da Villar Pellice, siamo andati a Bobbio, dove c’era il comando che ci ha mandati al Pra.
Dal Pra ci hanno mandati verso il Barant al Baracun, dove esiste una ex caserma militare; lì ci siamo accantonati, fino al mese di luglio.
Le forze partigiane della valle intanto erano state divise in tre Gruppi: ‘A’ comandato da Abele Bertinat, ‘R’ da Renè Poet, ‘T’ da Tino Martina.
Sereno veniva così a far parte del Gruppo ‘R’, mentre la mia squadra fu assegnata al Gruppo ‘A’ e fatta scendere al Peiroun, località all’imbocco della Comba dei carbonieri, un roccione in alto sulla strada verso Mamauro e Chiabraressa.
La valle era chiusa e quindi non arrivavano rifornimenti: ci hanno chiamati, perché più pratici della pianura, perché scendessimo a procurare del grano.
Ci hanno chiesto dove l’avremmo portato e noi abbiamo ritenuto fosse meglio a Montoso, al Roucas.
Naturalmente dovevano essere avvisati i garibaldini che erano là, che noi saremmo arrivati con il grano e poi sarebbero arrivati i muli a caricarlo.
Siamo scesi passando dietro il Forte, fino a Villafranca Piemonte a piedi… abbiamo requisito un camion che trasportava gli operai della Fiat da Torino.
Abbiamo fatto il carico di grano al mulino Vottero.
L’itinerario: Barge, Bagnolo, Montoso e poi al Roucas. Abbiamo viaggiato la notte: siamo arrivati, ma i muli non c’erano e lì abbiamo avuto un dissidio con i garibaldini, perché non erano stati avvisati del nostro arrivo.
Si sono visti arrivare un grosso camion e c’è stata discussione: l’abbiamo risolta lasciando del grano anche a loro.
Sono andato personalmente a Bobbio per i muli, che sono arrivati il giorno dopo.
Questo è stato il primo carico e poi siamo scesi di nuovo tre o quattro volte al mulino e fare lo stesso giro.
Andava tutto bene: quando abbiamo finito i trasporti, il camion lo abbiamo lasciato ai garibaldini, però ci siamo fatti portare a Campiglione.
Il giorno dopo i garibaldini sono scesi con quel camion e sono stati attaccati da una pattuglia di brigate nere e due partigiani sono morti alla Madonnina di bagnolo Piemonte.
Per dire il caso: poteva capitare a noi.
Siamo quindi andati alla stazione di Pinerolo per prelevare due della milizia ferroviaria che intendevano passare con i partigiani, ma volevano essere presi da noi per non danneggiare con la loro fuga le famiglie di Bricherasio.
Ritornando con loro, armati, da Pinerolo ci eravamo accantonati tra Osasco e Bricherasio: arriva una staffetta che ci dice di ritornare indietro in Valle.
Scesa la notte, siamo partiti, ma pioveva e ci siamo fermati in una cascina, più o meno dove adesso c’è la Rotonda di Bricherasio, volevamo aspettare che spiovesse.
Ad un certo momento sentiamo sparare: erano già coloro che davano l’assalto alla Caserma di Bibiana.
Passiamo verso San Michele, alla casa di un nostro partigiano Tale, padre dell’attuale Sindaco, era un po’ una base che prendeva gli ordini da eseguire per noi; ci dicono che dalla mattina ci stavano aspettando per assaltare la Caserma.
Renè infatti con il suo gruppo lo raggiungemmo poco sopra sull’altura dei Torretti.
Ci siamo accordati, ma loro, non pratici, sono andati a finire al ponte di Bibiana e noi, senza saperlo, siamo rimasti soli.
Cosa succede? Passo proprio lungo la cinta della Caserma e vedo qualcuno alla finestra.
Siamo convinti che, a causa del ritardo, i nostri hanno già preso la caserma.
Gli chiediamo cosa stesse facendo e, di fronte alla sua risposta che non stava facendo nulla, gli diciamo di distruggere tutto quanto poteva e di andarsene.
Ho scavalcato la cinta e sono entrato nel cortile; ho visto una cinquecento ed ho cercato di metterla in moto…
Mi è stato dato il ‘Chi va là?’… A quel punto ho capito che la caserma non era ancora stata occupata, ma ho risposto con la parola d’ordine ‘Garibaldi’… hanno incominciato a sparare e a buttare bombe a mano dalle quali sono stato ferito.
Siamo scappati perché non potevamo resistere.
A cento metri dalla caserma, c’era una nostra postazione che, vedendoci uscire di corsa, credendo fossimo militi, si accinse a sparare.
Non sapendo che noi eravamo già entrati nel cortile.
Per fortuna l’arma si è inceppata.
Stavano passando i rinforzi verso Bibiana e ci siamo resi conto che non ce l’avremmo fatta.
Ci siamo ritirati verso le Bariole, scesi in Val d’Angrogna, saliti alla Sea, scesi in Val Pellice e, nella giornata successiva, rientravamo al Peiroun da dove eravamo partiti una quindicina di giorni prima per il grano.
Ai primi di Agosto c’è stato il grosso rastrellamento di cui ha parlato lui: noi eravamo al Peiroun…
Era una postazione ideale. Ben appostati, avevamo tre mitragliatrici, sotto c’erano i prati di Buffa, sulla sponda destra del Pellice. Facevamo quel che potevamo, ma non avevamo abbastanza collegamenti e gli ordini arrivavano sempre tardi.
Cosa succede? Noi dal Peiroun vediamo passare nei prati sotto armati che avevano dei fazzoletti al collo; non avevamo dei binocoli per vedere, ma pensavamo fossero i partigiani di Tino Martina che si ritiravano.
Scendevano tranquillamente… Hanno passato il Pellice e sono andati ad incendiare l’ultima casa di Villar…
C’erano passati sotto gli occhi… Intanto ci arriva l’ordine di ritirarci di nuovo al Barant…
Quando al mattino abbiamo sentito i primi spari a Torre Pellice, io riposavo ancora; abbiamo deciso di caricare le nostre cose, soprattutto i viveri sui muli e mandarli a Mamauro, nella Valle dei Carbonieri, prima del Barbara.
Ci siamo poi ritirati al Barant e abbiamo fatto postazione lì.
Il giorno dopo vediamo dal Barbara salire un gruppo armato.
Erano tedeschi? Erano partigiani? Al mitragliere ho detto di mettere un poco più su l’alzo e di sparare sopra di loro.
Quando abbiamo sparato, hanno alzato le mani e abbiamo capito che erano i partigiani di Martina che si ritiravano.
Ci siamo ricongiunti al Barant, dove la caserma era piccola, c’era poco da mangiare…
La squadra di Martina si è ritirata per l’Agugliassa, verso il Granero.
Noi invece aspettavamo ordini. Ci è arrivato di ritirarci in Francia.
Dal Barant siamo scesi al Pra, dove sotto la pressione dei rastrellatori, i partigiani si erano ritirati per effettuare una resistenza più a monte.
Siamo saliti al Colle della Croce, dove ci siamo appostati.
Ci eravamo portati dietro una mucca, che il giorno dopo abbiamo macellata per mangiare.
Avevamo un solo sacco di farina di grano e un sacco di farina per polenta, ma è arrivato l’ordine di portarli a l’Echalp, dove abbiamo fatto il pane per tutti.
Siamo poi risaliti al Colle della Croce di guardia e lì c’erano i maquis francesi che ci guardavano ‘non troppo bene’ e noi, con qualche colpo in aria, abbiamo fatto vedere che avevamo armi funzionanti ed eravamo ben organizzati. I maquis se ne sono andati.
Il giorno dopo, arriva un pastore del Pra per avvertirci che i tedeschi se ne erano andati, ma avevano portato via tutte le pecore.
Siamo scesi al Pra, siamo risaliti al Barant, scesi al Barbara e poi andati alla Chiabraressa, in alto a sud della Comba dei Carbonieri.
Perché lì? Perché sapevamo che a Bobbio e a Villar c’erano ancora i tedeschi.
Scese un gruppo per procurare il vettovagliamento di cui eravamo completamente sprovvisti: alle Grange della Gianna avevamo mangiato la polenta fatta con l’ultima farina rimastaci: i pastori ci avevano dato il latte.
Abbiamo mandato una staffetta ad un certo Pegone di Bibiana, che aveva uno stabilimento, per chiedergli di procurarci dei viveri.
Ha fatto portare viveri a Famolasco, nascosti in Chiesa, che il gruppo già sceso portò su.
C’era anche una damigiana di vino santo… è dolce, simile ad uno sciroppo.
Il vino è stato bevuto un po’ da tutti e persino i bergè si sono ubriacati.
Abbiamo deciso di scendere: sono sceso per primo per vedere una base, a Pian Morero, verso i Piani; il gruppo è sceso dopo ed è passato sul ponte del Pellice ad Airali. Siamo passati per la Cuccia e siamo tornati in pianura.
In Autunno il Comune di Bricherasio era stato dichiarato autosufficiente perciò non poteva più prelevare il grano e bestiame dai magazzini tedeschi e fascisti, dagli ammassi.
Non so se fossero senza grano o non volessero conferirlo al podestà; hanno chiesto a noi di prendere il grano.
Siamo andati nelle zone di Villafranca e abbiamo requisito il grano e poi lo abbiamo portato; venivano dei camion, lo portavano a Bricherasio, lo pesavano, veniva portato nei magazzini, che lo davano al mulino, che lo dava ai panettieri, che davano alla gente il pane della tessera.
La gente pagava, i panettieri davano i soldi alla Giunta Comunale che li dava a noi che li davamo ai contadini, ai quali lo avevamo requisito.
Nel gennaio abbiamo dovuto spostarci più a valle e siamo andati a Castagnole Piemonte, nella cascina Airale. In pianura eravamo divisi tre o quattro per cascina per non dare nell’occhio e ci si riuniva solo per fare delle azioni.
Eravamo in collegamento mediante staffette.
Nelle cascine stavamo bene: noi della Valle non avevamo da mangiare, quando siamo arrivati nelle cascine…
Cosa ci è successo? Era mattina; noi eravamo quattro partigiani e ne abbiamo trovati altri quattro.
Il proprietario ci ha invitati a mangiare. C’era un grosso tavolo e ci siamo seduti attorno e… salame cotto, pastasciutta, carne, vino e naturalmente pane, ma pane bianco…
Abbiamo allargato gli occhi… Non abbiamo patito la fame.
Facevamo le nostre azioni e ci siamo allargati a Vigone e fino a Stupinigi: lì c’era una base.
C’erano dei partigiani a Torino che non bisognava dividere e c’erano dei nostri partigiani in prigione, ai quali dovevamo mandare dei viveri.
Portavamo i viveri a Stupinigi, dove, da Torino, venivano a prenderseli. In più era una base per accompagnare i partigiani che arrivavano da Torino e volevano venire da noi.
Siamo rimasti lì per un po’, poi ci hanno imposto di partire subito, invece di ritardare di qualche giorno… Perché ritardare di qualche giorno?
Andare giù in bicicletta non era il caso; andare a piedi non era il caso; non avevamo mezzi.
Vicino a Moncalieri, c’era un deposito tedesco, dove facevano servizio di guardia anche dei civili, che ci hanno detto che se volevamo entrare a prenderci la roba, sarebbe stato facilissimo, perché, pur montando la guardia con i tedeschi, ad un certo punto questi ultimi si davano il cambio, entravano nelle loro camerate e, prima che uscissero gli altri, ci voleva del tempo.
In quell’intervallo avremmo potuto entrare e prendere i mezzi: così abbiamo fatto.
Abbiamo preso tre o quattro camion, abbiamo distrutto con delle mazze quello che si poteva distruggere, abbiamo preso la benzina per i camion e poi ci siamo allontanati.
Con noi c’erano anche quelli dell’Intendenza: loro sono andati a Vigone, noi a Ferrere, vicino a Villanova d’Asti.
Abbiamo fatto una base lì: ad un certo punto dovevamo venire a Torino per la Liberazione.


Domanda: Quali erano i rapporti con le altre formazioni?

Sereno: In pianura avevamo zone divise: partigiani GL e partigiani Garibaldini. Il motivo era per non prelevare nello stesso ammasso o nella stessa cascina i viveri necessari alle formazioni

Domanda: E in Val Pellice?

Sereno:: Poi noi della squadra G.L. di ‘Modena’ siamo stati da metà Agosto fino al 28 ottobre 1944 in Val Luserna e non abbiamo avuto contrasti con i garibaldini.
Quando eravamo a Valanza, scendevamo a Rorà e poi al Pontevecchio e venivamo a prendere il pane alla Maddalena.
In quel periodo non abbiamo mai avuto problemi. L’unico contrasto che abbiamo avuto, se contrasto si può chiamare, è stato quando è caduto un aereo alleato nella zona dei Furnei, sopra Mugniva.
Era il 12 Ottobre 1944. Noi avevamo la base al Triboletto e verso le 19 abbiamo sentito e visto passare un aereo che lasciava dietro una scia di fumo.
Un attimo dopo abbiamo visto una fiammata seguita da uno scoppio.
Allora alcuni di noi siamo scesi sulla strada che porta a Rorà e siamo arrivati a Pontevecchio, dove c’era il posto di blocco dei garibaldini che non ci hanno lasciato proseguire.


Demaria: C’era qualche screzio tra di noi, tra gli alti comandi per l’occupazione del territorio.
Prima del rastrellamento di Agosto, comandava Prearo; poi Prearo è stato destituito.
Vi farò avere il rapporto di Agosti del Partito d’Azione e delle GL, che spiega perché il comando è stato tolto a Prearo: avevano paura che i comunisti invadessero la Valle, perché loro non erano stati toccati dal rastrellamento.
Dalla Val Luserna potevano scendere nella Valle.
Quando ci siamo ritirati dalla Francia ed eravamo alle Grange della Gianna, è arrivato un signore: ci ha detto di essere Di Nanni dei Comitati garibaldini e di essere venuto a vedere se la Valle non fosse più guarnita…
Gli abbiamo risposto che c’erano i GL…


Domanda: Ma allora Prearo è stato destituito perché sarebbe stato d’accordo a questa occupazione da parte dei garibaldini?

Sereno: No, questo è capitato per il rastrellamento.
Si doveva resistere, invece le resistenze partigiane si sono sciolte e quindi lo hanno accusato di incompetenza, sia lui che Martina, che doveva difendere l’Inverso; dove c’era una discreta linea di difesa, ma ai primi colpi sono scappati…


Domanda: E’ andato a finire in Val Germanasca?

Sereno: No era prima in Val Germanasca. Dopo il rastrellamento di agosto si è ritirato e non è più stato combattente.
Invece Prearo è rimasto con la squadra di Abele.
Lo hanno poi nominato Ispettore delle GL in Val Susa.
E’ stato nella riunione che i vari comandanti hanno fatto al Serre, il 15 Agosto, dove c’erano anche Agosti e quelli del P.d’A., che hanno deciso di togliere il comando a Prearo e di darlo a ‘Renato’ Riccardo Vanzetti, che era stato paracadutato nel mese di marzo in Valle.


Demaria: Del rastrellamento di Agosto c’è un bel libro, Nachtigall, che spiega bene come sia avvenuto il rastrellamento, perché non abbiamo potuto resistere, cosa è successo…
I tedeschi, invece di salire solo di qua, sono saliti nell’Inverso, verso Pian Pra, ecco perché Martina si è trovato circondato… e penso che non abbia più potuto resistere o aveva delle postazioni diverse da dove avrebbe dovuto metterle.
Si è ritirato ed è venuto a finire al Barant.
Allora i tedeschi che erano saliti di qua da Luserna ed erano passati sull’Inverso, alla strada del Blancio e poi sono saliti al Colletto e sono andati a finire verso il Vallone della Liussa e di lì sono scesi giù… Lo scopo del rastrellamento era sì contro di noi, ma soprattutto perché dovevano avere i colli liberi.


Sereno: Gli Americani non erano ancora sbarcati quando c’è stato il rastrellamento.
Avevano attaccato soprattutto la Val Chisone e noi della Val Pellice abbiamo attaccato le guarnigioni di Bibiana e di Bricherasio per alleggerire la pressione su Marcellin.
Infatti questa situazione è ben spiegata da Prearo: ci sono state delle riunioni a fine luglio tra i comandanti delle formazioni Val Pellice, della Val Chisone e della Valle Po, per studiare come alleggerire la pressione contro le squadre di Marcellin e della Val Chisone, perché i tedeschi volevano avere la via libera…
L’azione in Val Pellice è stata una conseguenza del rastrellamento fatto in Val Chisone: Nachtigall lo mette in evidenza.


Demaria: C’era già un po’ di occupazione del territorio da parte dei partiti: comunisti di là, azionisti di qua.
Il fatto che hanno rimproverato a Prearo è di non aver potuto o saputo difendere la Valle che si è sguarnita e c’è stato uno sbandamento dei partigiani.
Agosti dice proprio: “…i garibaldini sono scesi fino a Torre Pellice…”


Sereno: Non mi risulta che in Val Pellice ci siano state basi di partigiani garibaldini

Demaria: I motivi per cui c’erano contrasti tra i comandi garibaldini e GL, non tra i partigiani, era l’occupazione del territorio…

Sereno: Poi c’era qualche attrito per quanto riguarda il rifornimento di armi, in quanto il Comando Alleato non ha mai voluto lanciare aiuti ai garibaldini che dicevano, terra terra, ‘Voi ricevete le armi, mentre noi dobbiamo andare a prenderle ai fascisti’.
La questione dei rifornimenti alleati è ben spiegata nel libro ‘L’Altra Resistenza’, scritto dal Comandante dell’OSS, la struttura che mandava gli aiuti alle squadre partigiane in Italia.
L’autore è stato il comandante di ‘Renato’ Riccardo Vanzetti e di tutte le missioni alleate operanti nell’Italia occupata dai tedeschi.
Il libro parla dei servizi segreti che gli Alleati avevano istituito da Napoli in su.
Parla dei contrasti tra Americani ed Inglesi circa la necessità e la quantità di materiale bellico da dare alle formazioni, perché gli Inglesi non volevano dare alcuna arma ai garibaldini.
Gli Americani vedevano per l’Italia un futuro repubblicano e quindi più verso i partiti di sinistra; mentre gli Inglesi volevano che continuasse la monarchia.


Demaria: Al Fonte Blancio di Torre Pellice è caduto Alberto Calleri di Bricherasio, che dal sud occupato era venuto al Nord; sbarcato in Corsica, era venuto in Liguria e poi nelle Langhe. E’ stato poco!
E’ sbarcato il 9 maggio e a giugno era già morto.
Era di Bricherasio.


Domanda: Vi è mai capitato di scoprire delle spie?

Sereno: Che davano notizie ai tedeschi? Poche, ma c’erano.
Prearo racconta qualche fatto del genere.


Demaria: Dovete ricordare che a chi denunciava i partigiani, e per fortuna sono stati pochi, davano dei chili di sale. Allora non ce n’era…