TESTIMONIANZA di Luigi Negro (Dante)

Nome di battaglia, non scelto ma ‘appiccicato’, perché sapeva portare un camion.
Forse non aveva le idee chiare di come si dovesse fare, almeno all’inizio, ma li portava.
L’incoscienza dei tempi e dell’età non poneva problemi e se c’era da andare, si saliva sull’autocarro ... e via.
Le istruzioni belliche al guidatore erano semplici e chiare: “Se ci si imbatte in un posto di blocco, si rallenta per dare l’impressione di volersi fermare per il controllo; per poi accelerare di colpo, per la sorpresa”.
La preparazione bellica non andava più in là. Se si avevano tempo e fortuna, si suppliva con l’esperienza.
Era del ’22, una di quelle classi chiamate in pieno “centro” del conflitto, quelle che avevano avuto tutto il tempo di farsi le ossa, se non le avevano perse, un po’ su tutti i fronti di guerra.
... La prima esperienza la raccontava con serietà, ma faceva sorridere come la presentava. Aveva lavorato come apprendista e operaio in alcune officine meccaniche per riparazione auto, moto e affini.
Era abbastanza appassionato e si riteneva un bravo motorista; forse lo era, anche se c’era qualche motivo per dubitarne.
Richiamato, anzi chiamato alle armi nell’autunno del ’42, si ritrovò al cospetto d’Ufficiali, Sergenti, Marescialli vari che, con fare preoccupato e severo, facevano discorsetti del tipo: “Dobbiamo fare di voi degli uomini (chissà cos’erano...), dei soldati, dei combattenti per la Patria”, e qualcuno parlava anche dei famosi “destini radiosi, della ferrea volontà di combattere, di reparti forgiati per vincere”... e magari anche qualche “stronzata maggiore” come “sotto la guida illuminata del Duce”.
Cose che convincevano poco il ‘nostro’ e che, come tutti i ragazzi, viveva quei momenti spaesato, preoccupato e frastornato dall’ambiente e dal vociare dei graduati con più o meno tante righe e greche.
In quei giorni nascevano anche amicizie che duravano e diventavano fraterne con il prosieguo della vita militare e dei pericoli che comportava.
Erano poi gli unici ricordi positivi che rimanevano.
Si cercava di capire cosa bisognava fare per passare meno peggio quella vita in divisa, in ambiente per nulla piacevole e certamente non amato.
Il ‘nostro’ pensava, mentre erano raggruppati e suddivisi nell’enorme cortile della caserma: “Ma papà e mamma non potevano andare al cinema quella sera e rimandare l’operazione prole?”, e una voce possente: “Chi di voi è un bravo motorista?”.
Afferrò al volo la situazione: sistemarsi in qualche modo, alla meno peggio, con le proprie capacità di lavoro, magari continuando un’attività che piaceva, migliorando ancora, utile al ritorno “civile”.
Quindi, braccio alzato e voce forte e ferma: “Io, signor sergente!”.
Nessuno gli aveva spiegato che nel “Regio” bisogna sempre volare basso.
“Bravo, vieni. Laggiù al fondo c’è la macchina del Colonnello; la voglio lavata alla perfezione! Sveglia! Non fare il lavativo e sbrigati!”- con la classica chiusura - “se no, ti schiaffo dentro!”.
Faceva frescolino, sparò una silenziosa bestemmia e imparò in quei pochi minuti più che in tutto il resto della sua precedente esistenza e, a sentire lui, comprese tutto del “Regio” e di tutti gli altri eserciti del mondo.
Comunque la macchina del Colonnello era brillante e lucida, ma era un po’ sfasata, sputava; forse qualche “condensa”, diceva lui, o qualche goccia d’acqua condensata nel serbatoio.
Forse nella vita qualche cosa l’aveva già imparata prima.
Dopo la terza macchina da lui lavata, e che poi “sputava”, qualcuno cominciò ad avere un dubbio, più che un dubbio, e uno, ‘incazzato’, forse non aveva digerito la colazione, lo mandò a pulire cinque carri armati.
“Li voglio per stasera!”.
L’altro sergente vicino sussurrò:”Lascia perdere che questi carri partono dopo domani per il fronte”.
Il suo reparto andò a finire in Libia e si ritrovò ad accompagnare i camion lungo la litoranea, avanti e indrè, a portare vettovagliamento, munizioni e poi a mettere a posto il “magazzino”, piantare tende e quanto altro serviva per la vittoria.
Arrivò a Tobruk, ma non a El Alamein. Si ammalò prima e fu rimpatriato con una nave ospedale.
Cosa avesse non lo sapeva bene, ma si beccò una pleurite.
Come si può prendere una pleurite nel deserto africano? C’era riuscito lui.
Però era stato aiutato da un lavoro stressante e spossante sugli automezzi e, a parte i mitragliamenti, il poco da mangiare e meno ancora di acqua.
Non ci si tirava indietro per rispetto, e il reciproco aiuto con i commilitoni: “Mica tutti erano Generali o Colonnelli, e i Sergenti urlatori al fronte non li vedevi. Eravamo tutti poveri diavoli e tra noi immensa solidarietà”.
L’otto settembre lo trova convalescente in una colonia marina adibita all’uso, sulla costa ligure, vicino a Varazze, trasformata in ospedale militare.
Cosa sia successo con l’otto settembre, la tragedia di milioni di soldati abbandonati a se stessi, il tracollo di una classe dirigente bacata e incapace, e di conseguenza anche lì fu caos.
Pensò bene di alzare i tacchi e tornare a casa, a Torino, con le varie vicissitudini del caso, e con la speranza, non razionale, ma dovuta al desiderio di un po’ di pace e tranquillità, sperando che il peggio fosse forse passato.
Illusione! Si ritrovò praticamente clandestino e quindi, come molti giovani, arruolati nella Resistenza, SAP, CLN, organizzazioni nelle fabbriche e nei quartieri. Arrivava però il momento che era più … salubre cambiare aria e ritrovarsi Partigiano.
Così al Montoso sentì il comandante di Distaccamento: “Chi sa guidare un camion?”.
Afferrò al volo la situazione come appena arruolato nell’esercito: “Io, se non c’è da lavarlo”.
Altro spirito e volontà. “Bene, stasera dobbiamo scendere per una missione”.
Va da sè che tutti gli automezzi in guerra non sono mai perfetti, quelli partigiani poi...
Non tutte le marce entrano, non partono mai al primo colpo, le portiere chiudono così così, i fanalini dietro quasi mai si accendono e i fari davanti solo in casi eccezionali si accendono tutti e due, e difficilmente guardano nella direzione giusta.
Logico, erano automezzi militari trovati nascosti chissà dove e chissà come, quindi usati da autisti improvvisati, pezzi di ricambio, col cavolo trovarne!
Quindi, a notte, discesa dal Montoso, ove c’erano le cave di granito, le famose pietre di Luserna, che si portavano a valle con carri trainati da cavalli o muli, ruote strette e alte che formavano rotaie lungo tutta la strada, profonde e... migliorate da pioggia e neve. Una strada ripida e curve strette. Partenza!
I fanali funzionavano, quello di destra puntava la luce sulla punta degli alberi di sinistra, quello di sinistra in basso, piuttosto verso destra. Tutto bene.
Si cercò di migliorare la situazione ma, visto che invece peggiorava, si partì tranquilli.
‘Autista’ fu abile, o se preferite se la cavò. Anche chi era seduto al suo fianco: “Guarda che vai nel fosso! Stringi, stringi!”, fu buon navigatore.
Fermati al fondo, quasi al bivio di Bagnolo, per riordinarsi le idee, ‘autista’ sbotta: “Credevo che guidare un camion fosse più difficile”.
Aveva guidato al massimo automobili, e poi ancora... “Accidenti!” - qualcuno esclamò - “ma siamo proprio sicuri di avere a posto il cervello?”.
Sì, la Stella Polare non era ben posizionata nella testa di parecchi.
Comunque l’azione proseguì e il camion ritornò a Montoso indenne, o quasi.
Ormai la strada da autiere l’aveva imboccata e si ritrovò in pianura, nelle Langhe, nel Monferrato.
Arrivò a Torino e “G.N.” lo incontra in Via Roma, con un Bianchi-Miles dell’ex Regio, abbastanza in buono stato, ma fermo, e lui urlava come un’aquila, e gli gridò:“Ehi! Ti han promosso sergente?”.
Si voltò, si riconobbero e fu una risata. Anche per la gioia di ritrovarsi vivi, dopo mesi di guerriglia, non sapendo nulla uno dell’altro, cambiando zone e formazioni…
Una cosa carina, per come la raccontava.
Poco dopo la Liberazione era stata formata una Cooperativa trasporti di Partigiani, con gli automezzi militari rimasti in formazione.
Ricuperata anche un’auto OPEL tedesca, adibita, per uso aziendale, a consegne veloci e quanto comportava.
Il ‘nostro’ percorreva il Corso Regina; fermo al semaforo centrale di Porta Palazzo, davanti a lui una “500” tenuta bene e una donna al volante.
Al verde, il vigile fa segno di muoversi; la donna è impacciata; il vigile fischia, smanaccia e urla di sbrigarsi.
Il fatto è che la signora era “partita”e, nella confusione, aveva messo la retromarcia, e pianta di conseguenza una botta nel paraurti della OPEL, poi ancora due tre colpetti.
‘Autista’ non fa come avrebbero fatto tutti, o quasi, un po’ di pazienza o avvicinarsi con calma. No! Salta giù e al vigile, che stava fischiando e agitava il bastoncino, urla: “Lei la smetta e stia calmo, che questa mi salta sul cofano!”.
Discussione con il vigile, confusione, la donna in “500” mette la marcia giusta, parte col rosso, il vigile si scansa di scatto e la “500” centra una palina della segnaletica.
Nel complesso pochi i danni, ma decine di curiosi ad intralciare il traffico con un ingorgo riuscito bene, malgrado il poco traffico di quei tempi.
Pochi anni dopo lo ritroviamo all’ATM, azienda tranviaria, guidava autobus. Un lavoro di routine, tranquillo e sereno; era perfino ingrassato di qualche chilo.
“Allora, come va ‘autista’?”.
“Come vuoi che vada, da un capolinea all’altro. Conosci ogni pietra, ogni salto, ogni portone e perfino le facce, che sono sempre le stesse. Ogni tanto cambio linea, così posso svagarmi un pochino e ammirare qualche altro angolo di Torino.”
L’impressione degli amici era che non avrebbe resistito molto; infatti ne combinò una delle sue.
Portava il bus che percorreva il Corso Vittorio Emanuele; arrivato al monumento del Padre della Patria, pensò di svagarsi un pochino, e forse si sentì “pilota”, non solo conducente di bus... e fece tre giri della “rotonda” attorno al monumento, e senza ridurre nemmeno troppo la velocità.
La confusione a bordo era da immaginare: chi imprecava, chi gli mandava accidenti, chi si faceva il segno della croce, chi urlava come un’aquila.
Lui era soddisfatto, si sentiva realizzato e... alla sera appiedato.
Più tardi aveva un’officina di riparazione auto, sapeva lavorare bene e se la cavava brillantemente, ma... non portategli auto sporche e da lavare!